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Sguardi sull’Arte – “L’albero rosso” | MARIANNE WEREFKIN

MARIANNE WEREFKIN. Il colore fra emozione ed espressione

Sono tormentata nel cuore da un desiderio straziante di manipolare il colore… vedo figure, con un’intensità incredibile, passare davanti ai miei occhi.

Definita da Kandinsky la “levatrice del Cavaliere Azzurro”, Marianne Werefkin è fra gli esempi più significativi del Blaue Reiter (1), distintasi dagli altri membri del gruppo per non aver mai abbandonato completamente la figurazione. Ciò nonostante, nelle opere dell’artista, il visibile non è mai come appare; sfonda invece le barriere dello sguardo, calandosi in una dimensione, per certi versi “astratta”, di onirica saggezza.

Per quanto lontana dalla rappresentazione naturalistica e impressionistica della realtà, è proprio nella “rappresentazione di paesaggio” che Marianne esprime vigorosamente la sua visione, fatta di pennellate ora lunghe, ora brevi, vibranti di colore.

Come emerge dai suoi scritti, pubblicati da Gabrielle Dufour-Kowalska nel 1999 con il titolo “Lettres à un iconu” (2), è infatti il colore, sostenuto da un’emotività intensa, a dichiarare la sua supremazia sulla forma.

Marianne Werefkin, L’albero rosso, 1910. Tempera su cartone, Fondaziane Marianne Werefkin, Ascona, Svizzera

Di colori puri e in armonico contrasto vive “L’albero rosso” (1910), apparentemente immerso nell’atmosfera cheta di un paesaggio alpino, ma più propriamente sospeso in una dimensione sognante di intima contemplazione.

Dichiaratamente ispirata all’iconografia popolare, quella della Werefkin è una pittura primitiva, mistica, pregna di simbolismi arcaici e di bisogni ancestrali.

L’albero e la montagna, ricorrenti negli schizzi e nelle opere della pittrice, sono entrambi emblemi dell’interconnessione fra la terra e il cielo e dell’elevazione spirituale. Qui dominano insieme la composizione, accentuando il verticalismo, e quindi lo slancio verso l’alto – verso l’oltre.

Piccola, sul bordo della tela, una figura scura compie l’attesa, e nella sua mancata individualità ognuno di noi è esortato a riconoscersi.

Marianne Werefkin, Fuochi fatui, 1919

(1) Der Blaue Reiter (letteralmente “il cavaliere azzurro” o “il cavaliere blu”) fu un gruppo di artisti formatosi a Monaco di Baviera nel 1911 e attivo fino al 1914, il quale contribuì alla creazione di una nuova corrente espressionista, che sarà definita “espressionismo lirico” per distinguerlo da quello, a carattere più sociale, della  Die Brücke, fondato a Dresda nel 1905.

(2) Composta tra il 1901 e il 1905, l’immaginaria corrispondenza di Marianne Werefkin con l'”Ignoto”, simbolo del suo ideale artistico, prelude alla serie di dipinti decisamente moderni che l’artista, dopo un silenzio di dieci anni, produsse a partire dal 1907 come contributo particolarmente originale al movimento espressionista europeo.

Articolo a cura di Maria Chiara Pernici

La rubrica SGUARDI SULL’ARTE nasce come spazio di contemplazione, come ripristino del silenzio e del tempo propri dell’Arte. Incontrare un’opera implica una pausa, una frattura: apre una finestra, un varco – un vortice relazionale intimo e condiviso.

Sguardi sull’Arte – “Albero rosso” | PIET MONDRIAN

PIET MONDRIAN. Dall’albero all’universo

Voglio arrivare il più vicino possibile alla verità e astrarre ogni cosa da essa, fino a raggiungere l’essenza delle cose.

Immaginarsi Piet Mondrian come pittore figurativo potrebbe apparire improbabile, ma è invece proprio ricostruendo la sua ricerca artistica dalle origini che è possibile dimostrarlo.
Conosciuto per le sue opere geometricamente essenziali, l’astrattismo radicale di Mondrian nasce dalla natura e più nello specifico dagli alberi.

Piet Mondrian, Albero rosso, 1908-1910. Kunstemuseum Den Haag, L’Aia, Paesi Bassi


Fra il 1908 e il 1912 l’artista dipinse una lunga serie di alberi, studiandone le forme caotiche e complesse dei rami. Partendo da uno stile per certi versi “impressionista”, seppur prediligendo l’accostamento di pochi colori, la rappresentazione diventa via via più allusiva, riducendo al minimo le informazioni riportate sulla tela: così come i colori, passando per il grigio, si dirigono verso la trasposizione dell’essenziale, linee verticali e orizzontali codificano, semplificano quella che risulta essere la struttura muta, intrinseca della natura; l’ordine nascosto, la legge silenziosa che sostiene e governa l’intero cosmo.
In un articolo pubblicato sulla rivista De Stijl (1) (febbraio 1919) l’artista spiega che la sua conversione all’astrazione era avvenuta progressivamente, sul filo della pratica pittorica, e che la teorizzazione era intervenuta solo in seguito. Il processo creativo, come dimostrato dallo stesso Mondrian, diventa quindi strumento di conoscenza, un mezzo per studiare la cornice del reale in cui siamo immersi.
Denys Riout sostiene che l’astrazione nasca da una sublimazione dell’arte figurativa, e in particolare dalla sincera e sublime decantazione della natura, tanto da spingerne la rappresentazione alla composizione pura. (2)
L’opera di Mondrian è pertanto una dichiarata ricerca del vero, e non sul vero: un’analisi della sua struttura coniata nei termini di quell’equilibrio e di quell’armonia universale che si cela allo sguardo ma che concede il visibile.
Piet Mondrian, in qualche modo, dà forma a quello che Arthur Shopenhauer scrisse in anni precedenti: riassume graficamente le forze della volontà alla radice della rappresentazione. (3)

(1) De Stijl (che in olandese significa “Lo stile”) è una rivista fondata nel 1917 a Leida (Paesi Bassi) da Theo Van Doesburg e Piet Mondrian. Per estensione, il nome De Stijl indica il gruppo di artisti e architetti che, raccolti intorno alla rivista, diedero vita al movimento del neoplasticismo.

(2) D. RIOUT, L’arte del ventesimo secolo. Protagonisti, temi, correnti, 2002 Einaudi editore s.p.a., p. 24

(3) A. SHOPENHAUER, Il mondo come volontà e rappresentazione, prima edizione 1819

Articolo a cura di Maria Chiara Pernici

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Come lavare i cappelli di paglia

Occorrente:
-catino o secchio d’acqua tiepida,
-olio per bambini,
-sapone di marsiglia a scaglie,
-panno morbido,
-carta di giornale o asciugamano,
-naftalina o canfora.

I cappelli di paglia, specialmente se le fibre sono molto delicate, necessitano di controllare l’etichetta con le relative istruzioni di lavaggio altrimenti si può procedere come segue. Se sono presenti ornamenti come bottoni, nastri o strass è bene toglierli momentaneamente per evitare di danneggiarli durante il lavaggio. Dopo aver fatto sciogliere le scaglie di sapone nell’acqua tiepida, imbevete un canovaccio nella soluzione saponata. Strizzare il canovaccio eliminando l’acqua in eccesso e strofinatelo sul cappello delicatamente, pulendo prima la parte interna e poi quella esterna. E’ meglio evitare di immergere il cappello nell’acqua saponata perchè le fibre potrebbero restringersi. Infine risciacquare il cappello con sola acqua, così da eliminare i residui di sporco e sapone. Quindi farlo asciugare all’aperto e all’ombra su un qualsiasi oggetto di forma rotonda. Ricordiamo che è bene pulire prima delicatamente il cappello con un pennello morbido e se eventualmente non si vogliono staccare gli ornamenti, spolverare anche questi con il pennello e poi molto delicatamente procedere con il panno umido.

L’alternativa valida al classico sapone di marsiglia è l’olio per bambini, quello utilizzato per la loro igiene e cura. Inumidire un panno con qualche goccia di olio e procedere molto delicatamente alla pulizia tenendolo all’interno con l’altra mano ed evitando di deformarlo, sempre procedendo dall’interno verso l’esterno così che il panno utilizzato con l’olio non venga a contatto con la parte interna. Non adoperare mai alcun detergente aggressivo o altro tipo di olio perchè potrebbe rovinarsi o sporcarlo ulteriormente. Se dopo questo trattamento si vuole invece riporlo per conservarlo sino al prossimo utilizzo, si possono utilizzare le “cappelliere” e comunque lontano dai raggi diretti del sole facendo attenzione a non piegarlo, all’interno di un armadio preferibilmente anche coprendolo con qualcosa di leggero per proteggerlo soprattutto perchè non perda la sua forma originale e non si impolveri.

Eventualmente può essere utilizzato uno spray che si può trovare presso gli ipermercati o i negozi specializzati, nonché le drogherie. Lo spray aiuta a conservare la forma del cappello di paglia, come ripeto non sempre è necessario. Oppure si può adoperare qualsiasi liquido opacizzante per mantenere le fibre unite e resistenti, ma non è indispensabile.

Fonte: pianetadonna.it

Come intrecciare cappelli di paglia #1

Lavorare la paglia
La lavorazione della paglia risale teoricamente agli inizi del XVIII secolo. Esistono opere famose quali le paglie di Firenze che sono state realizzate con l’intrecciatura fatta a mano. La lavorazione finale, necessaria per definire la forma, veniva creata invece con l’aiuto meccanico di presse e macchine. Prima della fase, però, che interessa la creazione del cappello vero e proprio, sono necessari numerosi passaggi per poter ottenere dei filamenti schiacciati delle stesse dimensioni e tonalità. Il giorno prima della lavorazione è necessario tenerla a bagno e poi schiacciare le fibre per renderle più morbide e maneggevoli. Successivamente, come si faceva un tempo, pressarle manualmente oppure lasciarle riposare per alcune ore sotto un oggetto pesante per infine fare evaporare l’acqua. Una volta pronta la paglia si procederà a sezioni, creando prima il cilindro del cappello e in seguito la falda, tutto secondo la sapiente tecnica dell’intrecciatura. Per il cilindro realizzare una treccia centrale lineare o di forma circolare, a seconda della forma che si darà al cappello. Di seguito si procede intrecciando i lunghi filamenti a mo’ di spirale. Le trecce dovranno quindi essere poste l’una sopra l’altra, unendole con ago e spago, procedendo fino a quando non si sarà soddisfatti del risultato. Si passa poi alla falda, anche questa avrà una grandezza a piacere. Il procedimento è uguale ma, a differenza della prima sezione, le file intrecciate verranno cucite una accanto all’altra. Finalmente arrivati a questo punto si possono unire le due sezioni utilizzando sempre l’ago e lo spago.

L’attaccatura
Attaccata la falda al cilindro, si passa a coprire la cucitura, che sarà un elemento decorativo. Può essere un nastro colorato incollato con della colla a caldo oppure, in caso di cappelli femminili, un fiocco o con degli ornamenti, fiori o pietre colorate.

Ed ecco fatto il cappello di paglia intrecciata!

Ps. fate delle trecce sempre abbastanza strette, così da non lasciare spazi.

Fonte: pianetadonna.it

How to: pulire i cappelli

Katia Ricciarelli e Pietro Ballo in “Tace il Labbro”, dalla Vedova Allegra di Franz Lehár

Omaggio a Juana Romani, pittrice italiana

Originaria di Velletri (Roma) ed emigrata a Parigi da bambina, Juana Romani è stata omaggiata nella sua città natale con una mostra allestita presso il Convento del Carmine, diventato i mesi scorsi una sede distaccata dell’Accademia di Belle Arti di Roma. La mostra è stata aperta fino al 28 gennaio 2018. Venne sempre nominata con l’appellativo “La Petite Italienne” Da modella e pittrice, figura quasi pionieristica sul fronte della parità di genere. Questa mostra ha celebrato la sua vicenda umana e artistica a 150 anni dalla sua nascita.

Avvicinatasi al mondo dell’arte svolgendo il mestiere di modella nella Accademia privata Colarossi e Julian e in diversi atelier, Juana Romani dimostrò un precocissimo talento a livello pittorico successivamente confermato dalla vittoria della medaglia d’argento all’Esposizione Universale del 1889, ad appena 22 anni, con Bartolomeo Bezzi e Luigi Nono.

Il percorso espositivo ha ricostruito per intero il profilo dell’artista, riunendo opere chiave della sua produzione. Concessa da una raccolta francese l’enigmatica opera “Figlia di Teodora” e materiale iconografico e documentario inedito comprensivo anche di disegni, incisioni e periodici d’epoca.

Nel contesto francese dei Salons, Juana Romani godette di ampia fortuna anche grazie agli autoritratti “di femminismo esagerato”, secondo la definizione coniata da Armand Silvestre, nei quali impiegò le proprie sembianze per rileggere personaggi femminili esistenti o legati alla tradizione letteraria.

La mostra ha costituito un’occasione per cogliere aspetti salienti della personalità di Juana Romani, con idee in grado di avvicinare l’artista a questioni al centro del dibattito ancora oggi. Infatti si rifiutò di aderire ad associazioni di “femmes peintres”, fu tra le prime a rivendicare la parità di genere con opere quali “Mina da Fiesole”, ritratto in cui compare come una donna nei panni del celebre scultore rinascimentale, ammiratissimo da lei, Mino da Fiesole, riuscendo così ad anticipare le moderne posizioni sull’abbattimento delle distinzioni di trattamento sociale su base sessuale.

Fonte: arte.sky.it

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